mercoledì 24 marzo 2010

Quando c'è un copywriter, si vede.

Ci fu un periodo in cui, io e il direttore creativo Art, dichiarammo guerra alla demente storiella della “pubblicità che fa vendere”, assai in voga anche dalle nostre parti.
Passammo non so quante pause pranzo a cercare di sintetizzare il più possibile e al meglio a cosa serviva VERAMENTE la pubblicità, per poter rispondere ai clienti più naive qualcosa di più breve di un comizio.
Alla fine uscì fuori qualcosa che suonava più o meno così: “La pubblicità che fa vendere è un luogo comune che nacque agli albori del sistema distributivo moderno, quando davvero le inserzioni pubblicitarie – attraverso i coupon che contenevano le ordinazioni – erano in parecchi casi l’unico strumento di acquisto utilizzabile da chi abitava distante dai punti vendita che offrivano i prodotti. Oggi che il sistema distributivo è estremamente ramificato e sofisticato e che le aziende sono dotate di apparati commerciali che in alcuni casi assorbono il 90% delle loro risorse umane, il ruolo della pubblicità è profondamente cambiato. La soglia critica per le marche non è più la accessibilità da parte del consumatore, ma la rilevanza e la appetibilità percepite dell’offerta. La pubblicità oggi non serve più a vendere, ma a inserire la marca nel pannello delle scelte considerate plausibili e desiderabili dal pubblico, cioè a creare un pregiudizio positivo – che ha a che fare con le prestazioni e/o con la capacità di incarnare dei valori condivisi dalle persone che costituiscono il target - nei confronti della marca PRIMA che il consumatore si appresti a compiere la scelta e lo stesso l’atto d’acquisto. Insomma, la pubblicità non serve più a vendere: serve a far esistere le marche e a farle brillare di luce propria agli occhi delle persone”.
Non ci sembrava male. Anzi ci sembrava un piccolo miracolo essere riusciti a comprimere un tale casino in uno speech di meno di due minuti e mezzo.
Tutto questo finché non mi imbattei per caso in una frase di Emanuele Pirella riferita allo stesso tema.
Diceva: “La pubblicità non fa vendere. Fa comprare”.

Sette parole. Di cui tre di sole due lettere.
Quasi quasi chiamo la reception dell’Aldilà e gli chiedo di girare i complimenti al Copywriter. Quello con la C maiuscola.


Marco
p.s.
alcuni nomi sono stati rimossi dal gestore del blog per questione di privacy.

1 commento:

AAA Copywriter ha detto...

La pubblicità, come qualsiasi altra forma di propaganda, è un messaggio o un insieme di messaggi che ha lo scopo di convincere un determinato pubblico a compiere una data azione in un modo specifico.

Ciao,
Alex