giovedì 12 luglio 2007

IL momento giusto al momento sbagliato 3

Il periodo dell’università è stato fantastico: gente nuova con aspettative e interessi diversi. Insomma tutto stimolante. Io avevo preso l’abitudine di leggere, fra una lezione e un’altra, su una panchina vicino a un laghetto nella mia facoltà. Un po’ bucolico ma tanto rilassante. Fu là che venni abbordata da un tipo tanto bello quanto vanitoso e vi giuro che era davvero troppo vanitoso. Figuratevi che assomigliava a Claudio Amendola quando era considerato il sex symbol per eccellenza e Brad Pitt non faceva ancora neppure l’autostop sulla strada di Thelma e Louise.
Beh insomma, mi venne vicino per giorni e giorni e prima che io finissi di leggere L’insostenibile leggerezza dell’essere, mi aveva convinto a uscire con lui. All’epoca ero molto ritrosa, e anche molto convinta che la fauna della mia università fosse per la maggior parte troppo intelletual-noiosa per i miei gusti. Così ci andammo a prendere una birra a piazza Navona. Io avevo il motorino anche se, dalle mie precedenti esperienze, sarei stata in grado di arrivare ovunque con i mezzi pubblici senza dover consultare nemmeno uno stradario. Mentre io bevevo, lui parlava di quello che voleva dalla vita, di come era arrivato ad essere quello che era, della sua breve comparsata in un film che però gli aveva aperto le porte del cinema, di come fosse fotogenico, di quanti provini aveva in programma la prossima settimana, di quanto gli piacesse il teatro e di quanto, soprattutto, lui piacesse a un regista di teatro. Poi alla fine, come se avesse aperto gli occhi e mi vedesse per la prima volta, mi disse: “Beh, io ho parlato decisamente troppo, fammi sentire un po’ anche la tua voce, dimmi qualcosa, che ne so, che ne pensi di me?”. Nonostante tutto a me non importava molto di quante arie si desse, mi faceva piacere ascoltare qualcuno che non avesse troppi amici. Così continuai a frequentarlo e ad assecondarlo nelle sue megalomanie da divo in ascesa. Poi il problema si fece chiaro: chiunque fosse questo bellissimo ragazzo, era decisamente troppo. Cioè: lui aveva occupato tutto sé stesso, e anche oltre probabilmente, con il suo egocentrismo. C’era troppo uno dentro quell’uno. Non so se mi spiego. Così gli illustrai con calma la mia idea di una coppia che, proprio perché la matematica non è un’opinione, dovrebbe essere formata da due individui, al di là di eventuali progetti futuri. Lui sgranò gli occhi incredulo e mi chiese se per caso non mi bastasse lui, e io con altrettanto candore gli risposi che lui sarebbe bastato all’intero suddestasiatico se si fosse messo sul mercato intercontinentale.
Un paio di settimane più tardi lo incontrai all’università che accarezzava i capelli di una bella moretta su una panchina del giardino vicino al solito laghetto. Mi avvicinai per salutarlo e lui mi presentò la sua amica, mi disse che anche lei era un’attrice, che sua madre lavorava come truccatrice per non so quale regista, che presto lei si sarebbe laureata in lingue, che aveva un cane e un gatto e anche una carie sul molare sinistro visibile ogni volta che rideva e piegava la testa (no questo non me lo disse ma lo vidi coi miei occhi). Insomma mi tenne una buona ventina di minuti a parlare di lei. Si vede che aveva trovato qualcuna più egocentrica di lui.

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