mercoledì 29 agosto 2007

Sorridi, sei a Trastevere di sabato sera.

Io la mania del “se beccamo in giro” o del più banale “achittate ché andiamo a incontrà gente”, non ce l’ho mai avuta. Per me si esce per uno scopo che è molto meno nobile del conoscere persone nuove. Che poi, diciamo la verità, le persone nuove non le conosci mai. Quando si esce per i locali di Roma si incontrano i soliti amici e con loro si sta seduti a un tavolo a bere. Il massimo della novità è che un giorno puoi sperare che qualcuno dei soliti porti una faccia non conosciuta. E poi anche lì è un terno al lotto perché mica è detto che la novità sia di tuo gradimento. A me personalmente non è mai capitato di conoscere qualche amico di miei amici e se qualche volta è successo, la conversazione si è limitata a un “Ciao io mio chiamo così” seguito da un “Molto lieta io sono cosà”. Punto, fine della nuova conoscenza. Per il resto la serata si è protratta a parlare ognuno con le persone che già conosceva. C’è anche chi esce solo per esserci e allora queste persone di mondo le puoi incontrare in tutti i locali alla moda della città e a volte in ogni locale contemporaneamente come se avessero il dono dell’ubiquità. Che poi questi locali alla moda che hanno in più degli altri? Alcolici diversi? Macché, anzi a volte basta servire acqua e ghiaccio quando si ha già una clientela di affezionati. I locali alla moda hanno solo meno sedie, meno spazio, meno alcol e molte più persone, prevalentemente adolescenti, che passano le serate a ciondolare come grossi ceri in piedi aspettando che qualcuno li saluti. Una volta mi è capitato di fare la fila al bancone per 45minuti perché il barman era fermamente convinto della sua facilità di rimorchio dovuta allo stare dietro un bancone e davanti a una vetrinetta striminzita di alcol (il cui solo rum era un Bacardi bianco). Arrivata al bancone mi accorgo che non è l’unico a stare là dietro, ci sono anche altri due tizi che si fumano una sigaretta e guardano la folla dall’alto in basso come se fossero due buttafuori di Buckingham Palace. Quando sono là davanti chiedo a uno dei due fancazzisti se mi prepara un cuba libre che ho già pagato ma quello mi guarda e senza aprire bocca mi fa cenno di no con la testa e con sguardo severo e movimento di collo, senza scomporsi, mi indica il polipo factotum che si sta indaffarando fra le richieste e gli ammiccamenti. Ma quello mi dice di aspettare e avere pazienza, non ha ancora completato con la francesina a cui sta chiedendo il numero di telefono. Così guardo l’altro tipo dall’aspetto autoritario, ma si vede che è una posa. In verità somiglia a John Lennon solo che è più magro, ha meno personalità e a guardarlo bene l’unica cosa che lo fa rassomigliare al Beatle sono solo un paio di occhialetti tondi che porta senza riverenza. Me lo guardo e gli chiedo: “Lavori qui?”. So che potrebbe sembrare una domanda ovvia fatta a uno che si trova dietro il bancone di un pub, ma non si può mai sapere e poi basta condire il tutto con uno sbattimento di ciglia e un sorriso ebete e quello chissà che si crede che gli sto per chiedere. Infatti mi si avvicina interessato e mi dice: “Sì, posso esserti utile?”. Ma brutto deficiente che cosa te ne stai con le mani in mano a squadrare le persone che non stanno qui per ammirarti ma per chiederti da bere? Avrei tanto voluto dirgli così e invece mi limito a “Ok, allora fammi un cuba libre senza ghiaccio, senza lime e con rum scuro”. Quello ci resta male dal mio tono imperioso ma è stato lui a offrirmi il suo servigio.
Preso il benedetto cocktail la prossima mossa prevede la ricerca di un posto in cui non sia difficoltoso riuscire a muovere il gomito, almeno dal basso verso l’alto e ritorno. Naturalmente di sedie e tavoli liberi, nemmeno l’ombra e così mi accontento di un muretto che devo alternare con il mio amico che ha avuto la brillante idea di prendere qualcosa da bere a Trastevere di sabato sera. Per tutta la serata è un continuo: “Scusa, che hai detto?” per via del rumore infernale del ciarlare di mille persone costrette in una piazzetta di tredici metri quadri, mischiato al rumore di automobili che sfrecciano sul Lungotevere. Quando ci rimettiamo in macchina per tornare a casa io mi chiedo che senso ha far parte di un carnaio se tanto poi si passa tutto il tempo a parlare fra noi, non era meglio una birretta tranquilla e una sigaretta sotto casa?

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