lunedì 20 novembre 2006

le Strade Perdute di Lynch

Ricordandomi quanto mi fosse piaciuto una decina di anni fa, appena l’ho visto in edicola non ho resistito e l’ho comprato. Tra l’altro un Lynch a meno di 10 euro è sempre denaro ben speso: lui è l’unico in grado di far parlare i suoi protagonisti per un quarto d’ora prima che ti renda conto che stanno solo salutandosi. Ogni inquadratura più che senso logico, siamo ben lontani dalla logica quando parliamo di Lynch, è uno spettacolo di ombre che incantano e le sue colonne sonore, curate quasi sempre da Angelo Badalamenti, che risolleva le sorti di un nome facilmente associabile al padrino versione italiana, sono sempre bellissime. Quando vidi la prima volta il film ne fui entusiasta perché era il primo che conobbi a illustrare il dramma legato alla perdita della propria identità. Oggi siamo più smaliziati e avvezzi ad assistere a spettacoli del genere, così rivedendolo mi accorgo di quante lacune ci siano nella trama. Mettendo da parte ogni tentativo di comprensione ragionevole, proverò a raccontarlo. Un sassofonista, Bill Pullman, è vittima di strani messaggi e lentamente impazzisce anche a causa della gelosia verso la sua bella moglie, Patricia Arquette. Mentre perde la brocca incontra il solito personaggio tanto caro a Lynch, che, sebbene non inizi ad agitare braccia delirando e andava dove io andavo, non aiuta certo a rimanere lucidi coi piedi per terra. Insomma questo essere dall’aspetto ambiguo ed emaciato mentre si trova davanti al sassofonista gli dice che in verità è a casa sua e che può provare a telefonare se non ci crede. Il sassofonista compone il numero di casa e l’ambiguo risponde pur restandogli davanti. Se tutto questo non è abbastanza scioccante, aspettate di sentire il resto. Quando il sassofonista si precipita a casa, inizia a sentire rumori un po’ ovunque e, come da tradizione, cerca di capirne l’origine senza accendere nemmeno una luce. Un fotogramma ci avverte che la moglie viene uccisa e lui, accusato dell’omicidio, si ritrova in carcere pronto per essere condotto alla camera a gas. Durante la notte il sassofonista scompare e dentro la cella al suo posto troviamo un meccanico. Questo meccanico non ha idea di come sia arrivato là mentre le persone che lo conoscono pare che una mezza idea ce l’abbiano ma si guardano bene dal dirla a lui e tanto meno a noi.
Beh per farla breve, ammesso che non sia già troppo tardi, il meccanico incontra la moglie del sassofonista, quella che dovrebbe essere bruna, pudica e soprattutto morta. Invece lui la incontra bionda donna di un gangster. Se ne innamora e perde la testa. Quello che succede adesso è totalmente irrilevante perché il succo della storia è che per la Arquette ogni uomo impazzisce e paga. Oggi mi rendo conto che qualche anno fa mi facevo decisamente troppe canne.

Voto: Sarà pur sempre Lynch ma si merita solo la calvizie del mereghetti.


3 commenti:

Anonimo ha detto...

La cosa più bizzarra non è che tu da giovanissima ti facessi troppe canne: è che Lynch continui a farsene troppe anche da aspirante anziano, come sembra testimoniare il suo battage a favore della meditazione trascendentale. No?

Niky Rocks ha detto...

Beh blackbird,sulla meditazione trascendentale della furba Lince tralascerei ogni disquisizione dal momento che la scuola del sai baba di Hollywood, intestata a lui medesimo, adesso pare voglia aprire una filiale anche qui in Italia. Può darsi che cominciando a trascendere il nostro corpo, riusciremo un giorno a trascendere il senso dei suoi film e ad apprezzarli fra un ohm e un altro.

Anonimo ha detto...

Non credo sia questione di canne! Insomma, io adoro Lynch (per altro mi sono riguardata Strade Perdute poco tempo fa), ma non lo capisco, con o senza canne. Non l'ho mai capito, mi affascina e basta...