lunedì 6 novembre 2006

sul ResFest|10

Il Palladium è un posto meraviglioso, l’ultima volta che ci sono stata era una discoteca e oggi lo ritrovo con schermo, platea e galleria. Bella sorpresa. Un po’ come credere che sia cresciuto con me e che abbia smesso di essere ballereccio nel momento in cui ho smesso io, forse sono un po' troppo egoreferenziale. Il ResFest era promosso dalla Fox e altri sponsor che avevano a che fare con digitale, regia, scarpe e macchine. L’idea era quella di esporre in vetrina giovani talenti alle prese con animazioni e cineprese, e poteva anche essere carina se le proposte non fossero state solo sorprendenti elaborazioni e grafici multiformi abbinati a musica techno. Anche Windows Media Player è capace di abbinare alla musica flussi di colore.
Un’ultima critica, prima di passare alla rassegna a cui ho assistito, la devo fare all’organizzazione: la solita italianata. Il Palladium notoriamente, e anche se non fosse noto lo si potrebbe facilmente dedurre dalla forma palesemente circolare, è un cilindro, il che significa che il flusso e il deflusso della sola sala a disposizione avrebbero potuto non incrociarsi mai. Ma perché facilitarsi la vita? Dalla sala le persone che uscivano a fiotti si accalcavano su quelle che aspettavano per entrare con una forza uguale e contraria così da creare l’equilibrio perfetto della stasi, il cui termine scientifico è malus schienae et roctura pallorum. Alla stasi dell’attesa si aggiungeva scorrendo perpendicolarmente un’altra fila, quella per i biglietti. Quando la sala si è svuotata e il fiume di umanità disordinata (siamo sempre Italiani e le file non abbiamo ancora imparato a farle sebbene facciano parte del nostro modo di vivere) ha cominciato ad avanzare sembravamo pecore che entravano nell’ovile. Esperienza mistica, altro che la pasta allo scarpariello.

Radiohead the visionaries

Il primo spettacolo era la proiezione di una quindicina di video dei Radiohead che a quanto pare sembra che diano spazio ai giovani talenti designer dell’immaginario onirico del gruppo. Su quindici video ne ho salvati un terzo. Poi il gruppo ha cominciato a prendere una piega elettronica, e io non adoro l’elettronica, e i video si sono adeguati di conseguenza: “Quando la musica non dice nulla, la visione è solo luci e ombre”. Una piccola annotazione la devo fare: il centro catalizzatore, nonché quasi sempre unico protagonista, dei video è il cantante. Come si può resistere a quella faccia? Ah se l’avesse visto la Arbus.

Shorts3: Paura & Brividi

Il secondo e ultimo spettacolo riguardava cortometraggi da brivido. Ingenuamente ho creduto che il titolo della rassegna riguardasse l’horror e non il fatto che agghiaccianti fossero proprio i filmati. Il primo vedeva dei ragazzi in fuga in un bosco, inseguiti da spunzoni che uscivano fuori dal suolo con effetto Photoshop. Alcuni venivano risucchiati e scomparivano senza lasciarci intendere che fine facessero, gli altri continuavano a scappare. A un certo punto una macchina si ferma e l’inquadratura è chiara, si tratta di una wolkswagen senza ombra di dubbio. La macchina inchioda e lascia passare la mandria di giovani in fuga. Poi gli spunzoni di Photoshop attraversano la vettura lasciandola illesa. Se fosse finita così sarebbe stata un’ottima trovata pubblicitaria: “Wolkswagen resistente agli spunzoni infernali”. Invece no. Alla fine quando della mandria resta solo una sopravvissuta, la cosa si fa interessante perché lei decide di smettere di scappare e così si volta, guarda in faccia il nulla che avanza, arrotola i pantaloni della tuta lasciando intravedere un baffetto inconfondibile sulle sue scarpe (lo stesso che pubblicizza la manifestazione) e corre incontro al suo destino. Si lancia con un bel salto verso Photoshop e salta dentro. Adesso lo sconfigge, il coraggio è premiato, o forse incontrerà i suoi compagni caduti là dentro prima di lei e capiremo che cazzo è quella roba. Niente di tutto questo. Lei si lancia e il corto finisce.
Gli altri shorts erano animazioni in 3D in bianco e nero, un po’ stile Tim Burton. I disegni erano bellissimi ma davvero le storie non le ho capite. D’altra parte non si trattava di Tim Burton e se hai pochi minuti a disposizione cerca per lo meno di inventarti una storia semplice e non me la menare con la filosofia sulla morte o sull’origine del mondo perché in trenta secondi non riesci nemmeno a dire “C’era una volta”. Poi c’erano due film con persone in carne e ossa. Il primo iniziava con una frase del tipo “La materia è eterna, una volta capito questo non ha più senso temere la morte”. Il presupposto era ottimo, c’era pure la giapponese e si sa che la nuova tendenza dell’horror è quella di mettere in primo piano due occhi a mandorla poi il gioco si fa da sé. Invece questa giapponese dormiva placidamente nel suo letto asettico mentre dal lavandino usciva qualcosa di informe, forse un dito o forse dell’altro visto che a un certo punto sono spuntati anche dei peli. La musica techno non facilitava la comprensione e invece di crescente ansia sviluppava istinti omicidi verso il regista, l’unico italiano presente che partiva anche avvantaggiato nel tema visto che si chiamava Pacciani. L’ultimo corto ha risollevato il clima e lo spirito, dal momento che lo spirito degli amanti di una rassegna che si chiama “Paura & Brividi” ha bisogno di mazzate e sangue per risollevarsi. La storia era ambientata in una provincia americana, in un liceo squallido e freddo come quello tristemente famoso di Bowling a Colombine. Il corto che durava almeno 45minuti si chiamava BugCrush e parlava di una droga particolare che davano certi insetti e di cattive compagnie da cui un ingenuo ragazzo omosessuale si faceva sedurre. L’horror è la metafora della vita quotidiana, di quello che potrebbe accaderti davvero. I mostri sono proiezioni dell’inconscio e i fantasmi ti ricordano la tua esistenza precaria. Ma, come dimostrava l’incidente con i bacarozzi, non servono fantasmi a farti venire i brividi perché a volte basta prendere una strada sbagliata e ti ritrovi sodomizzato e ucciso da un gruppo di persone che credevi amiche. Come direbbe il sottotitolatore del film The Band: the last waltz: “Bellissimo!”.

Conclusioni
Le somme da tirare sono sempre le stesse: non serve avere grandi meriti per farsi notare, basta solo far credere alla gente che stai dicendo qualcosa di veramente importante. Se vuoi fare il regista e partecipare a una manifestazione internazionale cerca di confondere il prossimo con temi profondi che non sai sviscerare e prega il cielo che fra gli altri concorrenti non ci sia un Jonathan Glazer o un documentario sulle devianze della nuova gioventù bruciata.

1 commento:

ghettoculturale ha detto...

insomma, alla fin fine facevi meglio a stare a casa. a questo punto mandiamo in porto il nostro vecchio progetto di PowerPoint con le foto dei casting, basta spacciarlo per qualcosa di innovativo.