martedì 20 marzo 2007

Se bella vuoi apparire...


Sui prodigi dei tacchi siamo tutti d’accordo. Una stanghetta di pochi centimetri è in grado di metterti faccia a faccia con il mondo e a volte ti consente anche di guardarlo dall’alto. Persino una gamba poco aggraziata diventa appetitosa (vedi The Rocky Horror Picture Show). Quello che però chi non ne fa uso, e molto spesso anche noi dimentichiamo quando entriamo in un negozio di scarpe, non sa, sono i patimenti impliciti che l’essere artificialmente slanciate riserva.
Dimenticatevi di poter prendere l’autobus su soppalchi superiori ai 3cm. La guida spericolata di certi autisti, il traffico che impone brusche frenate e la mancanza di sufficienti posti a sedere (a meno che non si salga al capolinea e si aspetti un’ora la partenza), permette soltanto scarpe basse con suola aderente, possibilmente a ventosa.
Guidare la macchina equivale a imparare di nuovo da zero e ogni volta da capo. Non si impara a guidare coi tacchi. Fermarsi al semaforo quando stai in motorino significa ricordarsi di atterrare entrambe le gambe allo stesso tempo perché se l’abitudine ti impone di mettere giù solo la destra, il motorino seguirà lo slittamento del tuo tacco finché non è completamente sdraiato al suolo e tu hai eseguito una spaccata da far rabbrividire la Parisi nei tempi d’oro.
La strada diventa un percorso a ostacoli pieno di trabocchetti. Il tipico manto di sampietrini che fa di Roma una città storica, non annienta soltanto gli ammortizzatori delle macchine, ma incide sul piede-con-tacco vesciche così profonde che giureresti di leggerci in fondo la scritta S.P.Q.R..
Il tacco ti impone di camminare sulle punte ma sono pochissime quelle di noi che abbiano studiato danza. Così al posto di delicati balli di cigni, i passi diventano studiati calcoli da ragioniere per cercare di affondare il piede su superfici lisce e ben allineate che, a meno di non preferire una passeggiata sulla pista ciclabile, è ben difficile trovare in giro.
Vogliamo parlare delle grate sui marciapiedi o di quei sinistri tombini di ghisa con due buchini fatti apposta per imprigionare il tacco come una tagliola? Quante di noi c’hanno lasciato scarpa e dignità? Tu stai camminando serena e affascinante su quei bei decolleté che ti affusolano la gamba e riducono il polpaccio, davanti a te l’infinito ti si apre in prospettiva e guardi dritto, sicura che tutto il mondo si fermi al tuo passaggio. Un piede davanti all’altro come hai visto fare all’ultima sfilata di Armani ed ecco che l’ultimo scatto non scatta. Il busto prosegue la sua affascinate corsa ma il resto del tuo corpo è ben piantato a terra come un ombrellone assicurato nella sabbia con una piramide di macigni. I tuoi capelli si fanno avanti, ti coprono la faccia che si ostina a rimanere indietro. Cerchi un appoggio e nuoti nell’aria per riuscire ad afferrare un palo, un braccio di qualcuno, anche uno specchietto di una vespa. Alla fine trovi un appiglio, non ti chiedi nemmeno cos’è e ti volti guardando verso il basso perché in tutto questo annaspare lo sai bene dove sta il problema, lo senti come una ghigliottina quel decolleté che ti sta segando il piede all’altezza dell’attaccatura della dita. Eccolo là, catturato in una maglia di metallo al centro del marciapiede.
C’è da dire in proposito che questo trucchetto ha fatto di Cenerentola una principessa.
Anche i gradini sono un problema da non sottovalutare. Sebbene a salire non creino alcun imbarazzo, quando si scende è peggio che camminare sul sapone.
Una volta mi è capitato di uscire da un negozio su via Nazionale. C’era solo un gradino e per di più bello grosso, insomma non potevi non vederlo e io infatti l’avevo visto. Io sì ma il mio tacco no. E così, considerando l’impresa un giochetto da ragazzi, saluto ed esco. Ma il mio tacco decide di incagliarsi proprio sul bordo dello scalino, come una bocca che azzanna una coscia di pollo, e io cado in ginocchio per terra. Non è tanto la caduta, perché succede a tutti di perdere l’equilibrio. È che quando si mettono i tacchi lo si fa per essere eleganti, aggraziate, fare piccoli passi come le geishe, una caduta rovina tutto.
I tacchi poi esigono le calze. A furia di camminare sulle punte il tallone diventa un anfibio ed entra ed esce dalla scarpa in continuazione. In primo luogo non è affatto piacevole a vedersi, elegante come la mia portiera che fa sgusciare il piede con gambaletto ogni volta che si siede. In secondo luogo questo svolazzare del tallone provoca sfregamento e relativa stigmate nell’unico punto che ti impedirà di indossare qualsiasi altro tipo di scarpe per le prossime due settimane.
Col tacco non puoi permetterti di arrivare tardi da nessuna parte, il suo ticchettio ti segnalerebbe con la stessa discrezione di una freccia luminosa sulla tua testa.
Non puoi fare corse affannate nel disperato tentativo di raggiungere l’unica rosetta rimasta prima di quell’aitante e previdente signora che la spesa la va a fare in tuta e scarpe da ginnastica.
Il bisogno di tacco impone di restringere il cerchio sui potenziali partner perché un uomo più basso di te significherebbe solo che hai sbagliato uomo, non tacco.
Il tacco significa mettere in conto che hai una possibilità su cento di non prendere nessuna storta perché non è importante quanto largo sia, la sola idea che stai “barando” sulla tua altezza spinge il cervello a punirti.
Detto ciò, come faceva dire Quino a Mafalda: “Noi possiamo fare tutto quello che fanno gli uomini, in più sui tacchi alti”.

1 commento:

ghettoculturale ha detto...

Dopo il tuo sms di domenica mi aspettavo di leggere un post sull' argomento.
Te tengo d'occhio, sa'?